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Ripensare la politica e il ruolo dei partiti

Redazione Scritto il 28 Maggio 2018
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di MARIA MEDICI

Seppure l’evocato trapasso dalla Seconda alla Terza Repubblica dovrebbe essere caratterizzato da un mutamento di fondo, che almeno tocchi, anche se di sfuggita, un cambiamento degli assetti istituzionali, cosa che non sta avvenendo in questi giorni, tuttavia, la situazione attuale e il quadro che si è andato delineando relativamente ai rapporti di forza fra le formazioni politiche obbligano ad una riflessione sul senso e il valore dei partiti tradizionali e sul loro rapporto con la società.

In un clima in cui la dislocazione e lo spostamento del gradimento degli elettori somiglia ad una serie di ondate che hanno riversato soprattutto malcontento e sfiducia dentro il bacino ossimorico della “politica dell’antipolitica”, appare necessario un ripensamento profondo su come oggi la politica (in tutti i suoi aspetti e sfaccettature) si possa porre in relazione con la società.

La ricetta – tutto sommato facile e scontata – del populismo imperante vede nella rivendicazione in nome del popolo di parole d’ordine quali giustizia, onestà, eguaglianza. Qualora si possegga un briciolo di accortezza e di senso della realtà, si potrà convenire che le “belle parole” hanno bisogno di una traduzione nella concretezza dei fatti e dentro un organismo complesso qual è la società contemporanea.

Tuttavia, l’esperienza storico-sociale insegna che le istanze che provengono dal “popolo” hanno bisogno di essere organizzate, rese coerenti col possibile ed il reale delle condizioni di partenza e di quelle prevedibili d’arrivo. Altrimenti, tutto si riduce ad una farsa in cui il “popolo” finisce per essere “cojonato” (come direbbe Trilussa).

Un tempo i partiti “storici” erano i collettori di queste istanze che venivano coinvolte dentro una piattaforma ideologico-programmatica. Oggi, a causa di una crisi profonda della forma partito ma anche per merito di una più diffusa sensibilità collettiva, una realtà significativa appare quella rappresentata dall’associazionismo.

È noto come le associazioni di volontariato spesso suppliscono alla carenza di servizi rivolti alla protezione e promozione dei soggetti più deboli. Altresì si può dire di quelle realtà associative che promuovono e sensibilizzano attorno a tematiche quali l’ecologia, il miglioramento della qualità di vita nei centri urbani, la riflessione sulla partecipazione civica dei cittadini e così via.

È tempo, forse, per quei partiti che a i proclami preferiscono i programmi, di ripensare il modo con il quale porsi in relazione con quella realtà così significativa rappresentata dall’associazionismo, in cui la partecipazione “dal basso” si compie veramente (a differenza della finta democrazia online).

A guadagnarci sarebbero tutti: i partiti troverebbero una strada per controbattere all’antipolitica diffusa ritornando nella società anche per questa strada, ossia cogliendo spunti, idee, richieste dal mondo reale; l’associazionismo, nelle sue molte variate sfumature, potrebbero contare su un appoggio politico che vuole dire il sostegno e la sensibilizzazione laddove si decide e si legifera.

Fonte: l’Italia che verrà

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