Ponte sullo stretto, l’opera pubblica “immaginaria” che potrebbe salvare la Sicilia?

Quando si nomina il “ponte sullo Stretto”, il pensiero corre immediatamente all’idea di contrapposizioni anche dure, con da una parte i sostenitori a prescindere e dall’altra i detrattori a priori, ciascuno con a sostegno tesi dall’apparente solidità ma in realtà confutabili da entrambe le parti.
Eppure, ci sono alcune certezze su questa grande opera immaginaria (sì, perché è bene ricordarlo: l’opera non esiste ma è già costata alle casse dello Stato svariate centinaia di milioni di euro): al contrario ad esempio di altri grandi e costosissime opere, come il Mose o la Tav per le quali i cantieri sono comunque operativi se non quasi finiti, qui in Sicilia a fronte di km di testi scritti, proteste e prese di posizione, non è mai stato spostato neppure un mattone.
Soldi sprecati dunque; oggi però su La Sicilia un articolo di Tony Zermo riporta il parere di un grande esperto di trasporti, Ercole Incalza, dirigente del Ministero dei Trasporti e autore tra l’altro del Piano Generale dei Trasporti, famoso oltre che per aver seguito opere pubbliche per un valore di 74 miliardi di euro, anche per aver subito 15 processi ottenendo altrettanti proscioglimenti.
Secondo Incalza, basterebbe la cooperazione tra le regioni meridionali, destinando il 10% dei loro POR, per ultimare il ponte, anche grazie ai fondi UE già disponibili che così verrebbero finalmente spesi per intero.
Incalza sostiene inoltre che il ponte sullo Stretto darebbe un input a tutto il Meridione, velocizzando i trasporti e migliorando il traffico di persone e merci, senza dimenticare le ricadute lavorative legate alla costruzione in primis, ma poi anche alla manutenzione nonché alla curiosità di vedere un’opera mastodontica, in grado di attirare anche semplici visitatori e curiosi da tutto il mondo.
Un’opera che potrebbe diventare dunque uno dei simboli dell’Italia nel mondo, se affrontata però secondo i 3 pilastri della sostenibilità, con i quali tutti dobbiamo ormai confrontarci: ambientale, sociale e ovviamente economica. A questi vanno poi aggiunti tutti i controlli di legalità e anticorruzione, necessari per garantire che l’opera resti un simbolo dell’Italia pulita e non del malaffare.
“Con le stesse risorse si potrebbero rimettere in sesto strade e ferrovie siciliane”, è questa la critica più diffusa tra i detrattori. Critica vera, ma soltanto in teoria e con alla base una discreta dose di “benaltrismo”: in pratica, oggi in Sicilia non abbiamo (e continueremo a non avere per molto tempo) né strade né ferrovie degne di tal nome, né ovviamente il ponte.
Magari proprio l’avvio di un cantiere così importante potrebbe dare inizio a quel processo di ammodernamento delle infrastrutture dell’Isola, portando finalmente la Sicilia fuori dalla sua condizione di arretratezza cronica e offrendo agli investitori un contesto ideale, da affiancare alle nascenti Zes e alle Zone Franche Doganali.
Si tratterebbe per una volta di avviare un piano di visione strategica per le infrastrutture del Sud, attuando un’autentica spinta allo sviluppo che poggia le basi non sull’assistenzialismo di Stato ma su reali possibilità di crescita.